Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato presentato lo scorso 30 aprile alla Commissione europea, un documento di 269 pagine in cui sono racchiuse tutte le speranze di un Paese che ha pagato più degli altri lo scotto di questa pandemia.
Il Piano messo a punto dal Governo prevede investimenti per 122,1 miliardi suddivisi in sei aree che sembrano puntare a colmare i punti deboli dell’Italia rispetto ai paesi europei: rivoluzione verde e transizione ecologica; digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; istruzione e ricerca; infrastrutture per una mobilità sostenibile; inclusione e coesione e, infine, salute.
Se sulla carta le riforme messe in campo sono da considerarsi valide, se contestualizzate destano alcune perplessità, prima fra tutti la sfida del digitale: si è cercato di dotare negli ultimi anni il cittadino degli strumenti per poter accedere autonomamente alla pubblica amministrazione con l’identità digitale e, con un po’ di difficoltà molti italiani sono entrati in questo nuovo meccanismo, il vero problema ora è l’enorme carenza di organico nella nostra Pubblica Amministrazione e soprattutto la scarsa propensione di queste risorse verso il digitale, quindi ben venga il reclutamento di risorse umane e la valorizzazione delle loro competenze. A seguito del periodo di emergenza che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, sarebbe stato più opportuno destinare qualche risorsa in più in ambito sanitario, è assolutamente insufficiente la percentuale del 40% dei fondi destinati al Sud considerando lo stato delle cose ed è necessario vigilare sull’effettivo sano utilizzo dei fondi.
Per quanto riguarda il tema giustizia, finalmente nel piano si è preso atto che l’attuale sistema giudiziario manchi di celerità ed è apprezzabile il focus sulle ADR, ma bisognerebbe incentivare gli strumenti extra giudiziali come le conciliazioni paritetiche, che sono strumenti veloci che permetterebbero di alleggerire il carico giudiziale; bene anche la legge annuale per la concorrenza, con l’auspicio che i lavori prevedano un coinvolgimento stretto delle Associazioni dei Consumatori che non possono trovarsi a commentare norme già fatte. Assolutamente necessario investire sulle infrastrutture per una mobilità sostenibile che, soprattutto al Sud sono ancora un miraggio, l’importante in tutto ciò è realizzarlo in tempi coerenti.
Per quanto riguarda l’istruzione e la ricerca bene il potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione ma, considerando le risorse stanziate per ricerca ed impresa, molto probabilmente non saranno sufficienti vista l’arretratezza del nostro Paese rispetto al resto d’Europa che giustifica la fuga dei cervelli. Stesso discorso per il tema dell’innovazione, e nel piano si continua ad evincere uno stampo ancora troppo tradizionalista.
In riferimento alle nuove forme di approvvigionamento energetico, tali misure dovranno garantire, e se possibile incrementare, le garanzie di una continuità della fornitura, tali misure devono inoltre essere idonee a stimolare la competitività del mercato, al fine di consentire l’abbassamento del costo dell’energia.
Una cifra che sembra a dir poco insufficiente è quella stanziata per il potenziamento delle politiche per il lavoro e per il Terzo Settore considerando la delicatezza del tema in quanto il mercato del lavoro è una grande piaga che affligge il nostro Paese, nonostante le vane rassicurazioni giunte negli anni.
Non manca che incrociare le dita e aspettare l’ok da parte dell’Europa che entro 60 giorni dovrà analizzare non solo il nostro piano, ma anche quello degli altri 13 Paesi europei che hanno presentato le loro riforme.